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Avviso | Ci siamo trasferiti

Ciao a tutti cari utenti,

Da Domenica 24 gennaio ci siamo trasferiti su http://www.thebshop.it/

Continuate a seguirci numerosi!

Il signor Norton

Non conosco nessun signor Norton e non voglio conoscerlo. Non so se si chiami Philip o Ezra, se sia sposato, abbia figli disabili o guidi un pick-up, e non mi tange. Fatto sta che c’è un tizio nel computer che ho appena comprato, e in quello precedente, e in quello prima ancora, che si chiama Norton. Antivirus, antispyware, chiamatelo come più vi piace, ma il suo nome è Norton. E’ un po’ come se Bill Gates, invece di chiamare i suoi sistemi operativi Windows XP, Vista, 7, li avesse chiamati Bill, o se Larry Page e Sergei Brin avessero chiamato il loro motore di ricerca Larry & Sergy. O Berlusconi avesse tre reti che si chiamano Silvio, Piersilvio e Giansilvio. Uno ci chiama i figli così, se vuole, mica le sue aziende o i suoi prodotti. Chiamare ciò che si fa con il proprio nome è sintomo di una personalità debordante, acida e intrusiva.

Nel mio computer a guardia dei siti porno sapientemente stoccati tra i miei favorites, non c’è un software ma un signore di mezza età che mi molesta coi suoi ricordi: “La tua licenza è scaduta”, “non hai fatto l’upgrade”, “il tuo pc è un colabrodo”, “il periodo di prova termina fra due giorni”, “clicca qui per rinnovare l’abbonamento”. Hai firmato contratti, stipulato abbonamenti, richiesto servizi? Macché. Il signor Norton te lo ritrovi tra i piedi perché acquisti Microsoft, Hewlett Packard o simili. E’ come invitare la ragazza che ti piace a cena e trovarsela all’appuntamento con il fratello più piccolo, brufoloso e casinista. Quando lo butto fuori a calci con Revo Uninstaller, cambio la serratura e spargo dell’antrace virtuale sul pianerottolo lui dopo un po’ torna, fa il Bin Laden e minaccia: “Sei ancora esposto a rischi”. Il che è ovviamente falso: mi limito ad avvalermi di altri prodotti, nello specifico AVG. Perché? Perché il signor Norton è un cesso di antivirus, si comporta come un virus, in termini di spazio è come tenere una portaerei in salotto, e soprattutto costa un botto di palanche.

Immaginate il vostro macellaio che vi insegue per strada sventolando tre etti di fesa di vitello e sbraitando: “Compra la mia carne”. Oppure dialoghi surreali con un’idraulico che si presenta in casa vostra e pretende di svitare il bidet perché “sicuramente avete un problema”. O di essere importunati mentre bevete un caffè al bar dal vostro gommista che ha tutta l’aria di volervi vendere un treno di copertoni da neve, e alle vostre proteste risponde: “Ma io ho una convenzione con il tuo barista: ogni volta che bevi un caffè posso provare a venderti il mio prodotto”. Non è una metafora: è la strategia del signor Norton per spillarti quattrini.

Un’elementare principio del marketing dovrebbe essere: fai quello che vuoi ma non puntare pistole alla testa dei potenziali clienti. O quantomeno abbi il fegato di rendere pubblico il tuo indirizzo di casa, in modo che possa venire a venderti i biscottini che fa mia madre.

Le Iene alla mammana cinese

Quello che per il Giornale è solo un dato da cronaca locale (10 aborti clandestini al giorno nella Chinatown milanese – riportava a novembre 2008), per le Iene è un volto, un nome e un cognome: la puntata dell’altro ieri ci regalava un servizio in cui si stanava una mammana cinese, complice una diciottenne che fingeva di aver fatto il danno e di volersi liberare delle conseguenze. La mammana in questione si dice pronta a “sterilizzare i ferri” seduta stante, chiaramente senza visite nè controlli (era sufficiente il test di gravidanza positivo) il tutto a soli 300 €. Ma l”affare” non si chiude e la complice se ne va.

E a questo punto cosa succede? Parte la denuncia alla mammana? Si chiude il servizio, lasciandoci tutti indignati a domandarci quanto meriterebbe un Pulitzer?

Nossignori! La iena torna da lei, le sventola davanti al naso il ditino e le fa una sonora ramanzina: “No no no! Non si fanno mica di nascosto queste brutte cose, tanto più che in Italia l’aborto è un diritto per tutte le donne ed è gratuito (si ostina a ripetere la iena), hai capito? Non farlo mai più, eh, monella?! Se no torniamo e ti tiriamo le orecchie! Anzi, visto che non sai l’italiano, ti abbiamo preparato un bel cartello con su scritto in mandarino che in Italia l’aborto clandestino è vietato, e lo appendiamo proprio qui all’ingresso, col nastro biadesivo che ci siamo portati dietro apposta”.

E se al posto della cinese ci fosse stato un medico italiano con lo studio in piazza San Babila?

Gira voce che in Italia sono rimaste solo le Iene e Striscia a fare dell’ottimo giornalismo d’inchiesta: beh, è un peccato per la mammana cinese che l’abbiano sgamata le Iene, se la pizzicava Jimmy Ghione se non altro ci rimediava un tapiro.

Perché non andrò a vedere Avatar

Ho delle ottime ragioni per non andare a vedere Avatar, talmente buone che sarò l’unico a condividerle (non si ha mai ragione sino in fondo finché non si resta da soli a difendere la propria opinione).

La storia è vecchia: il colono ipertecnologico che salta il fosso e passa dalla parte del buon selvaggio, complice l’attrazione erotica per un esponente femminile della tribù, una via di mezzo fra dei rasta a un congresso di body-painting e il Jar-Jar-Binx creato da Lucas per il sequel di Star Wars. Espedienti narrativi e tecnici sono frutto del saccheggio di grandi successi come Blade Runner, Matrix, Minority Report, e forse perfino Laguna Blu (No Name ha già fornito ieri un elenco esauriente dei riferimenti: quello a Laguna Blu è uno sconcertante caso di telepatia).

Il secondo motivo è il battage promozionale. Sono stanco di vedere pocket movie spacciati per trailer: invece di fornirmi un paio di spunti intriganti mi spiattellano tutta la storia in una manciata di secondi, con tanto di scene chiave e momenti topici. Discorso analogo per i critici alla Mereghetti, ai quali vorrei dire: signori, anche se avete visto il film prima di me e lo trovate modesto, nessuno vi obbliga a raccontarmelo, che poi vado al cinema e vengo assalito da uno spleen spaventoso, un déjà vu nel quale ogni tanto fa capolino la faccia da impiegato del catasto di Mereghetti. Per liberartene, sei costretto a dargli ragione.

L’ultimo motivo è forse il più complesso. Avatar rientra fra quei film che devi assolutamente vedere a prescindere da gusti, interessi, eventuali sarcomi o cecità totale. Devi vederlo e basta. Viene meno, o meglio non è richiesta, la volontà personale, una ricerca, un timore, il bisogno di conoscere che sono il sale delle scoperte più belle (come delle delusioni più cocenti). Dovendo oblìare me stesso, mi pare evidente che definirlo un capolavoro oppure una schifezza è del tutto indifferente. Ergo il mio parere vale quello di qualunque tabbozzo entusiasta, cioè niente. Questo non faccio fatica ad accettarlo. Piuttosto, non digerisco il rischio di pensarla come il tabbozzo.

Se questo é un Nobel

Come molti di voi avranno notato, in rete sta girando una notizia alquanto bizzarra.
Internet si candida al nobel per la pace. Sì, avete capito bene, non è bastato dare il nobel, a dir poco “fake” a Mr.President Obama, adesso
ci mettono anche il World Wide Web.
Ma cerchiamo di capire; perché bizzarra?

L’iniziativa è del mensile Wired Italia, che in occasione della conferenza mondiale, “Science for Peace”, organizzata dalla Fondazione Umberto Veronesi, lancia il progetto “Internet for Peace” e candida il web al Premio Nobel per la pace 2010.

Il manifesto (che potete visionare qui) cerca di dare le giustificazioni appropriate per questa canditatura; una fra tutte? Il concetto di relazione e condivisione, che secondo gli ambasciatori di questa iniziativa (tra cui appunto Veronesi e Armani) è il fondamento di una civilità pacifica, creatrice di solidarietà.

Ma siamo sicuri, mi chiedo io, che relazione e condivisione siano l’antidoto più efficace all’odio e al conflitto? Ci verrebbe da chiedere, che tipo di relazione?, e soprattutto, cosa si condivide? O forse stiamo solo dando un premio per la potenzialità?
Certo, ora ho capito! Infatti come abbiamo visto lo scorso 10 dicembre, dove l’ambito scettro è andato al presidemte statunitense, ormai il nobel per la pace è un premio alle buone intenzioni

Esempio personale
Stamattina avrei voluto dare la precedenza alla simpatica vecchietta che cercava di attraversare le fatidiche zebre (o strisce pedonali che dir si voglia), affannata con le sue borse della spesa grandi come palloni aerostatici capovolti, ma…ops, l’ho tirata sotto…
Vi giuro però che era mia intenzione farla passare…così almeno ho detto al giudice…di pace.

Il Grande Italiano su Fb

La Rai in collaborazione con Eurisko ha lanciato un sondaggio per decretare quale sia “L’Italiano più grande di tutti i tempi”, programma che andrà in onda sul Due condotto da Facchinetti Jr. Successo roboante di Laura Pausini che con il 40% dei voti ha ridicolizzato Dante, Galileo, Leonardo e Cavour.

Non faremo quelli che si stracciano le vesti imprecando contro il barbaro declino dei nostri connazionali. Sicuramente fra i loro contemporanei un Masaniello che pisciava sulla folla faceva più notizia di un Galileo intento nello studio del moto astrale nel duomo di Pisa. Inoltre l’exploit l’ottima Laura lo ha ottenuto su Facebook, sorta di simulacro digitale della Smemoranda, del banco di scuola, del muretto su cui incidere le proprie scorribande mentali. Su Facebook non si possono disegnare cazzi a spray per il semplice motivo che nessuno ha ancora messo a punto l’applicazione adatta.

Dunque non sarà che a domande cretine la gente tende a dare risposte cretine? E quanti dibattiti fra Joseph Ratzinger, Roger Scruton e Marcello Pera sulla necessità di Dio avete letto su Novella 2000? Quanti faccia a faccia fra Umberto Veronesi e Checco Zalone per stabilire i limiti etici della scienza?

La sensazione è che stia nascendo un modo magmatico e disordinato di descrivere la realtà grazie soprattutto ad un medium “democratico” come internet dove però a parità di condizioni di partenza, come il potenziale divulgativo e selezione del target di riferimento, trionfa la famigliola canadese che si dà fuoco per partecipare ad un reality, non certo l’appassionante riflessione di Antonino Zichichi a proposito dei modelli scientifici descritti da un’unica variabile. Il successo della Pausini non ha nulla di strano o controverso, per una delle leggi non scritte più antiche del mondo: le persone quando agiscono in un contesto del tutto o quasi privo di vincoli danno semplicemente il peggio di sé, sempre.

Google Wave, meno male che c’è?

Google Wave? Bhè certo, chi non l’ha sentito nominare almeno una volta, soprattutto nei mesi prima delle feste natalizie, dei pranzi e delle cene faraoniche a base di melassa con sottofondo il classico, “siamo tutti più buoni“.

Ma più buoni di così si muore, dico io! Perché?
Semplice, per circa due mesi ci siamo ammazzati tra di noi per avere il fatidico pass, l’invito per entrare in Google Wave, per testare la nuova piattaforma (beta) sviluppata dai nostri amichetti di Mountain View; neanche fosse l’invito, il pass d’oro, trovato nella barretta di cioccolato di Willy Wonka…dico io. (e lì sì che avrei commesso probabilmente un omicidio). (Cos’è Google Wave?)

Tuttavia, ammettiamolo, noi, utenti attenti alle novità e cambiamenti che prendono piede sul web, eravamo tesi, come se non aspettassimo altro. Abbiamo speso energie infinite per averlo, abbiamo cercato di sottrarlo furtivamente, c’è persino chi l’ha pagato fior fior di fiorini…

Ed ora? Dopo che l’abbiamo visto e provato e testato? Qualcuno, sà dirmi, per favore, cosa ce ne facciamo? Come funziona veramente? Qual’è la sua utilità ultima? Vi siete accorti dell’abbassamento di toni? Non c’è più nessun rumors… Non piace più? Non è mai piaciuto? Nessuno più ne parla, quasi ne scrive. Che sia un altro flop di casa Google? Bhè, non sarebbe il primo, vedi OrkutSketchUp

Ccomunque io ho ancora 11 inviti per chiunque volesse testare Google Wave e li vendo a caro prezzo, non si sa mai…

p.s.
Avviso agli utenti: si accettano anche scambi tra inviti Google Wave e un Lumpa Lumpa, originale.