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Perché non andrò a vedere Avatar

Ho delle ottime ragioni per non andare a vedere Avatar, talmente buone che sarò l’unico a condividerle (non si ha mai ragione sino in fondo finché non si resta da soli a difendere la propria opinione).

La storia è vecchia: il colono ipertecnologico che salta il fosso e passa dalla parte del buon selvaggio, complice l’attrazione erotica per un esponente femminile della tribù, una via di mezzo fra dei rasta a un congresso di body-painting e il Jar-Jar-Binx creato da Lucas per il sequel di Star Wars. Espedienti narrativi e tecnici sono frutto del saccheggio di grandi successi come Blade Runner, Matrix, Minority Report, e forse perfino Laguna Blu (No Name ha già fornito ieri un elenco esauriente dei riferimenti: quello a Laguna Blu è uno sconcertante caso di telepatia).

Il secondo motivo è il battage promozionale. Sono stanco di vedere pocket movie spacciati per trailer: invece di fornirmi un paio di spunti intriganti mi spiattellano tutta la storia in una manciata di secondi, con tanto di scene chiave e momenti topici. Discorso analogo per i critici alla Mereghetti, ai quali vorrei dire: signori, anche se avete visto il film prima di me e lo trovate modesto, nessuno vi obbliga a raccontarmelo, che poi vado al cinema e vengo assalito da uno spleen spaventoso, un déjà vu nel quale ogni tanto fa capolino la faccia da impiegato del catasto di Mereghetti. Per liberartene, sei costretto a dargli ragione.

L’ultimo motivo è forse il più complesso. Avatar rientra fra quei film che devi assolutamente vedere a prescindere da gusti, interessi, eventuali sarcomi o cecità totale. Devi vederlo e basta. Viene meno, o meglio non è richiesta, la volontà personale, una ricerca, un timore, il bisogno di conoscere che sono il sale delle scoperte più belle (come delle delusioni più cocenti). Dovendo oblìare me stesso, mi pare evidente che definirlo un capolavoro oppure una schifezza è del tutto indifferente. Ergo il mio parere vale quello di qualunque tabbozzo entusiasta, cioè niente. Questo non faccio fatica ad accettarlo. Piuttosto, non digerisco il rischio di pensarla come il tabbozzo.